Un principio di semplice ragionevolezza

accesso alle immagini

Una pronuncia della giustizia amministrativa aiuta a fare chiarezza su cosa può succedere quando un privato esercita il diritto di accesso alle immagini delle telecamere di videosorveglianza, con particolare riferimento alla condotta del titolare del trattamento dei dati.

Uno dei principali problemi connessi all’installazione e all’uso dei sistemi di videosorveglianza riguarda l’occorrenza in cui una terza persona esercita il proprio diritto di accesso alle immagini, poiché ritiene di potersi procurare, in tal modo, elementi utili per sostenere un’azione in sede giudiziale o stragiudiziale (per esempio, nel caso di un incidente stradale avvenuto nei pressi di un esercizio dotato di telecamere). Cosa succede in una simile circostanza?

Dalla normativa al caso effettivo

Sebbene il GDPR preveda espressamente il diritto dell’interessato ad accedere ai propri dati, comunque memorizzati, su sistemi di altri soggetti, il titolare del trattamento è ovviamente titubante ogni qualvolta la richiesta d’accesso non proviene da un’autorità pubblica o dalla magistratura.

La principale perplessità riguarda l’effettiva presenza di dati personali dell’interessato nelle immagini oggetto di registrazione, cui si sommano normalmente due ulteriori timori: quello di non aver posizionato correttamente le telecamere, andando a inquadrare anche aree pubbliche che non dovrebbero trovarsi nel raggio d’azione dei dispositivi, e quello di poter ledere, con la consegna dei filmati all’interessato, i diritti di altre persone coinvolte nell’evento o comunque presenti nei fotogrammi (magari semplicemente perché trovatisi a passare nel lasso temporale oggetto della richiesta).

Non si dovrebbe, in ogni caso, lasciar decorrere i termini di conservazione delle immagini a causa delle perplessità o di semplice inerzia: se l’istanza perviene in tempi ragionevolmente brevi (tali da consentire l’acquisizione dei dati), il titolare dovrebbe estrarre i filmati dal dispositivo di registrazione e conservarli, per poi decidere se consegnarli direttamente all’interessato o invitare quest’ultimo a rivolgersi alle autorità per ottenerne una copia, in modo che l’eventuale prova non venga dispersa semplicemente per il passare dei giorni.

Lo scorso ottobre è stata pubblicata sul sito della giustizia amministrativa un’interessante pronuncia sul tema, sebbene non favorevole all’interessato: l’oggetto è la richiesta, formulata da un cittadino a una pubblica amministrazione, di ottenere copia delle immagini relative a un incidente stradale avvenuto presso un incrocio, con l’obiettivo di accertare le responsabilità dei due conducenti.

Cos’è successo

Nonostante l’istanza di accesso ai filmati sia stata presentata il giorno successivo all’evento, l’ente non ha svolto alcun accertamento, né ha provveduto a estrarre i filmati dall’impianto di registrazione, così da poterli successivamente utilizzare o, quantomeno, rendere disponibili in caso di contenzioso. Neppure è stato dato riscontro al cittadino, che si è quindi trovato a dover impugnare dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale il silenzio-rigetto formatosi per la decorrenza dei termini di legge.

Nelle more del giudizio, l’ente ha comunicato all’interessato il formale e tardivo diniego di accesso alle riprese, evidenziando che, sulla base di un ordine di servizio interno, non è stato ritenuto possibile cedere le immagini a un privato e che, in ogni caso, i filmati non erano più disponibili a causa della sovrascrittura programmata del sistema, che procede automaticamente alla cancellazione dei video dopo quattro giorni.

Così operando, nella sostanza l’amministrazione ha implicitamente ammesso di essersi resa responsabile di una colposa inerzia, consistente quantomeno nell’aver tardato a esaminare l’istanza dell’interessato, privando il richiedente di elementi utili all’accertamento dei fatti e, conseguentemente, della possibilità di chiedere il risarcimento dei danni non riconosciuti dall’assicurazione.

A questo punto, il cittadino ha proceduto a integrare il ricorso originario - teso a ottenere l’annullamento del silenzio-rigetto e una copia delle immagini - aggiungendo una domanda di risarcimento per tutti i danni subiti per la parte non rimborsata dall’assicurazione e contestando, parallelamente, la tesi dell’amministrazione relativa alla scelta di non fornire i dati, basata peraltro su un atto privo di qualsiasi rilevanza giuridica esterna.

Dopo aver preso atto del cambiamento dell’oggetto del ricorso, ormai improcedibile per la parte relativa all’annullamento del silenzio-rigetto e all’acquisizione delle immagini, il Tribunale Amministrativo ha mutato il rito e rinviato la trattazione del ricorso ad altra udienza, nella quale dovrà decidere sull’eventuale responsabilità dell’ente e sul consequenziale risarcimento dovuto al cittadino. Se l’esito del giudizio, alla luce di quanto accaduto, appare abbastanza scontato, da tale esperienza è possibile estrapolare alcune considerazioni sulle modalità di trattamento dei dati per quanto riguarda gli impianti di videosorveglianza, pubblici e privati.

Accesso alle immagini, qualche riflessione

Innanzitutto, la tesi dell’ente - secondo la quale i filmati delle telecamere pubbliche non potrebbero essere forniti al cittadino in assenza di feriti - è priva di qualsiasi fondamento giuridico, poiché il diritto di accesso alle riprese non prevede limitazioni da parte della normativa di riferimento: non è consentito pertanto alla pubblica amministrazione negare al cittadino un diritto stabilito da una norma cogente, vista l’assenza di un superiore interesse pubblico.

È appena il caso di evidenziare, in aggiunta a questa considerazione, la condotta colposa dell’ente, consistente nell’inerzia mostrata nell’esame di un’istanza che, invece, avrebbe dovuto avere la precedenza sulle altre, proprio in virtù degli strettissimi tempi di conservazione delle immagini; la circostanza denota anche l’assenza di adeguate misure organizzative per il trattamento dei dati personali degli interessati.

L’ente avrebbe dovuto infatti predisporre una corsia preferenziale per l’esame delle istanze relative all’accesso ai dati personali dei cittadini - in particolare per le immagini presenti negli impianti di videosorveglianza, soggette a ridottissimi termini di conservazione che, una volta decorsi, pregiudicano interessi e diritti tutelati dall’ordinamento giuridico. Poco importa se la finalità istituzionale sia il controllo del traffico o la tutela del patrimonio, poiché ciò che rileva, ai fini dell’esercizio del diritto, è il trattamento operato.

Un’analoga considerazione può essere formulata, seppure con un minore grado di gravità, nei confronti del privato titolare di un sistema di videosorveglianza, che non svolge funzioni pubbliche e non deve avere un grado di attenzione superiore a quello di un cittadino diligente. Premesso quanto finora descritto, si può trarre dal caso esaminato un principio di semplice ragionevolezza, valido sia in caso di trattamento dei dati gestito da un ente pubblico, sia nell’ipotesi di attività svolta da un privato.

Poiché l’interessato ha diritto di accesso ai propri dati personali gestiti dal titolare (senza distinzione tra documento cartaceo o digitale, testo, audio, immagine o filmato) - e a maggior ragione ne ha diritto quando a essere coinvolta è la pubblica amministrazione, che deve garantire anche il diritto di accesso agli atti amministrativi di cui alla L. 241/1990 - occorre innanzitutto adottare una politica di gestione delle istanze che tenga conto dei ridotti termini di conservazione delle immagini (normalmente 24 ore per il privato), così da consentire un’immediata rilevazione delle richieste relative ai filmati della videosorveglianza, che dovranno, in via prudenziale e fino all’accertamento dell’effettivo diritto di accesso, essere estrapolati e conservati per evitare richieste risarcitorie.

L’unica eccezione opponibile all’interessato richiedente è l’eventuale coinvolgimento di terzi, nei confronti dei quali il titolare del trattamento dei dati è vincolato a un generale obbligo di tutela. Si tratta di una riserva che potrebbe essere facilmente superata facendo presente al privato cittadino che i filmati sono stati messi in sicurezza e che per poterli visionare è necessario chiederne l’acquisizione tramite le forze dell’ordine o l’autorità giudiziaria.

Tuttavia, tale impostazione non convince appieno e potrebbe anche essere oggetto di diversa valutazione da parte dell’autorità Garante per la protezione dei dati personali: non è infatti prevista dall’ordinamento, che concede un accesso illimitato al cittadino a tutela dei propri diritti per quanto riguarda il trattamento dei propri dati personali. Non sembra quindi opponibile - al titolare che dovesse decidere di consentire all’interessato l’accesso ai filmati della videosorveglianza - alcun rilievo circa l’eventuale diritto alla riservatezza di altri soggetti coinvolti, poiché detentori di diritti analoghi e (salvo eccezioni) non in contrasto con quelli del richiedente.

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