Videosorveglianza in Sud Africa: parliamo di Apartheid 2.0?

videosorveglianza Sud Africa

Il sospetto è venuto a Michael Kwet, ricercatore invitato allo Information Security Project della Yale Law School, Connecticut (Usa), che ha passato molto tempo a studiare il mercato della videosorveglianza in Sud Africa, un contesto caratterizzato storicamente da problemi di separazione razziale. Qui l’azienda Vumacam ha costruito la propria leadership sfruttando l’ampia diffusione di internet a banda larga anche nelle periferie e il dinamismo del mercato delle telecamere a circuito chiuso.

La tecnologia di analisi video con AI permette oggi una sorveglianza molto più accurata di un tempo con la notifica in tempo reale agli addetti alla sicurezza, in quell’area soprattutto privati.

Il risultato è stato la creazione di un ampio network di occhi digitali equipaggiati di visione a infrarosso, immagini termiche, Gps e analisi video.

L’analisi è impostata per individuare comportamenti inusuali, come l’accattonaggio, intrusioni, oggetti abbandonati, e per inviare un allarme alla control room. Gli operatori valutano se la segnalazione è appropriata o meno, e il sistema auto-apprende dai propri errori. Ulteriori servizi offerti sono quelli di riconoscimento di comportamenti e compilazione di ricerche o statistiche, per esempio: tutti i ciclisti, oppure tutti quelli con la maglietta rossa. E poi il riconoscimento di chi possiede un determinato cartellino di riconoscimento per l’accesso ad aree ristrette.

Il pericolo si annida nel fatto che a detenere il sistema di videosorveglianza sia un privato, e che spesso le segnalazioni siano connesse al colore della pelle.

Tra gli elementi sotto attenzione, infatti, ci sono il colore della pelle, la presenza di cicatrici, l’abbigliamento oversize. L’articolo completo si può leggere su vice.com.

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