A maggio del 2004, il Garante della Privacy ha pubblicato una sintesi del proprio provvedimento generale sulla videosorveglianza del 29 aprile, delineando la nuova disciplina in materia, i principi generali e gli adempimenti specifici per i soggetti pubblici e privati.
Dal provvedimento del 2004, si può desumere - in linea con la crescente diffusione degli stessi, dovuta principalmente alla diminuzione dei prezzi che ha fatto seguito all'adozione di tecnologie digitali - una generale tolleranza nei confronti degli impianti di videosorveglianza.
Il Garante, in sostanza, comprendendo di non poter arginare il fenomeno, ha preferito canalizzarlo in circuiti controllati e pretendere il rispetto di alcuni principi fondamentali.
La generica definizione secondo la quale l'installazione di telecamere “è lecita solo se proporzionata agli scopi che si intendono perseguire e se altre misure sono insufficienti o inattuabili” è talmente ampia da poter ricomprendere qualsiasi tipologia di impianto.
Al tempo stesso, però, non sembra soddisfare il principio di certezza del diritto, poiché l'utente non ha parametri definiti dai quali desumere la liceità della propria installazione.
Se è vero che, da un lato, la proliferazione degli impianti rischia di rendere meno efficaci le garanzie di riservatezza dei cittadini, non è altrettanto vero che non consente di ampliarne la tutela sotto il profilo della sicurezza, come ha da tempo dimostrato la città di Londra, ormai interamente sottoposta a videosorveglianza nelle vie del centro.
La tranquillità garantita dal controllo del territorio tramite telecamere dovrebbe indurre la Pubblica Amministrazione a una crescente adozione di impianti di sorveglianza e controllo cittadino.
Più lineare e logico risulta il principio di conservazione limitata nel tempo del materiale video registrato. E, questo, per due motivi: da un lato, per l'evidente necessità di garantire al cittadino di non dover subire la profilazione dei propri comportamenti quotidiani; dall'altro per evitare il proliferare di periferiche con centinaia di terabyte di filmati che renderebbero antieconomica la gestione degli archivi.
Assolutamente condivisibile, infine, la prescrizione relativa a una puntuale, corretta e anche ridondante informazione al cittadino riguardante l'uso e la collocazione degli impianti video.
Utilizzo dei dati: vero nocciolo del dibattito
Il vero problema delle telecamere, come di tutte le tecnologie dell'informazione, consiste nell'uso illecito che può essere fatto dei dati e non certo nella tecnologia stessa. Problema che riguarda l'operatore e non le telecamere o l'impianto di videosorveglianza.
Dunque, è opportuno cimentarsi nel miglioramento delle misure di sicurezza piuttosto che nell'attività di elaborazione di norme sempre più restrittive.
Avvisando il cittadino della presenza di telecamere, lo si pone innanzitutto nella condizione di non tenere comportamenti imbarazzanti, unico reale problema di riservatezza che potrebbe indurre a un maggior rigore nei confronti degli occhi elettronici.
Superato tale limite - di ordine psicologico, non certo tecnico - l'effetto deterrente rispetto ad atti criminali è evidente. E neppure la crescente diffusione di clandestini difficilmente identificabili fa venir meno l'utilità di tali apparati, se solo si considera che i software di analisi sono ormai talmente evoluti da consentire l'individuazione di un soggetto anche se torna nel raggio di azione di una telecamera dopo mesi.
Il diritto alla protezione dei dati personali non pregiudica l’adozione di misure efficaci per garantire la sicurezza e l’accertamento degli illeciti.
L’installazione di sistemi di videosorveglianza non deve però violare la privacy dei cittadini e deve essere conforme alle norme che disciplinano la raccolta e l'utilizzo dei dati personali degli interessati.
Rispetto alle prime linee guida sull’installazione di telecamere - emanate nel novembre del 2000 - il provvedimento generale del 2004 ha stabilito regole più precise, che tengono conto anche di indicazioni emerse in sede internazionale e comunitaria.
Il primo effetto che consegue all'uso di impianti non conformi ai principi generali del provvedimento, è l'inutilizzabilità dei dati raccolti, cui possono far seguito un provvedimento di blocco del trattamento e le conseguenti sanzioni amministrative e penali.
Quando l’installazione è lecita?
Proprio al fine di agevolare la verifica circa la liceità delle installazioni e del loro utilizzo, il provvedimento del 2004 riepiloga sinteticamente i principi generali da seguire.
L'Autorità Garante - per evitare abusi - pone un limite ben preciso alle installazioni. Ad esempio, pone limiti al posizionamento di telecamere in aree turistiche, dove potrebbero consentire l'identificazione di un visitatore da parte di chi, semplicemente collegandosi via Web, potrebbe venire a conoscenza della sua presenza in un determinato luogo (per comprendere meglio la portata del problema, è sufficiente immaginare quali conseguenze potrebbe avere l'individuazione di una persona che si trova dove non dovrebbe essere..).
Anche per questi motivi, i cittadini che transitano nelle aree sorvegliate devono essere informati della presenza delle telecamere attraverso un'informativa, anche semplificata, che renda evidente l'installazione e che contenga, quantomeno, il soggetto responsabile del trattamento al quale rivolgersi in caso di necessità.
Prima di installare un impianto di videosorveglianza, occorre valutare se la sua utilizzazione sia realmente proporzionata agli scopi perseguiti e solo quando altre misure (sistemi di allarme, altri controlli fisici o logistici, misure di protezione agli ingressi ecc.) siano realmente insufficienti o inattuabili.
In caso di videoregistrazione, il periodo di conservazione delle immagini deve essere limitato a poche ore, con un massimo di sette giorni in caso di attività particolarmente a rischio (banche, gioiellerie, aeroporti, ecc.).
In realtà, tale limite - anche a causa della mancanza di un potere normativo in capo all'Autorità Garante - può essere ulteriormente derogato con adeguata motivazione, come avviene, ad esempio, nel caso degli aeroporti e delle grandi stazioni ferroviarie, considerati siti a ischio elevato.
L'installazione di sistemi di videosorveglianza in presenza di dispositivi di identificazione biometrica o di rilevazione della posizione geografica deve essere sottoposta alla verifica preliminare dell'Autorità Garante, per gli evidenti rischi accresciuti di lesione dei diritti dei soggetti interessati (è sufficiente pensare a quale grado di controllo del lavoratore si potrebbe pervenire con una telecamere installata su un autobus di linea, i cui dati potrebbero essere messi in relazione con quelli provenienti dal dispositivo GPS del mezzo).
Il garante richiama, poi, l'attenzione di installatori e utilizzatori sulla necessità di attenzione per la dignità dei lavoratori, rilevando come non sia vietata l'installazione di telecamere sui luoghi di lavoro, ma come debbano essere rispettate la garanzie previste dalla legge, evitando il posizionamento in luoghi non destinati all'attività lavorativa (bagni, spogliatoi, docce, armadietti, luoghi ricreativi) e facendo comunque attenzione a non superare il principio di necessità del trattamento
Particolare attenzione per i diritti degli interessati anche negli ospedali e nei luoghi di cura, in cui è ammesso il monitoraggio di pazienti ricoverati in particolari reparti (ad esempio, in rianimazione e psichiatria), ma a condizione che alle immagini possano accedere solo il personale autorizzato e i familiari, onde evitare ogni possibile diffusione anche indiretta dei dati sanitari.
Anche negli Istituti scolastici l’installazione di sistemi di videosorveglianza è ammissibile, purché giustificata da funzioni istituzionali, quali potrebbero essere, ad esempio, l'esigenza di controllare corridoi e aree comuni per garantire l'incolumità dei ragazzi o evitare aggressioni al patrimonio durante gli orari di chiusura.
Soggetti pubblici e privati
Un soggetto pubblico può effettuare attività di videosorveglianza solo ed esclusivamente per svolgere funzioni istituzionali.
L'autonomia Statutaria degli Enti Locali consente l'estensione di tale limite a quelle attività che possono essere svolte dalla Pubblica Amministrazione.
Anche quando un’amministrazione è titolare di compiti in materia di pubblica sicurezza o prevenzione dei reati, per installare telecamere deve comunque ricorrere un’esigenza effettiva e proporzionata di prevenzione o repressione di pericoli concreti.
Non è quindi lecita, senza tale valutazione, una capillare videosorveglianza di intere aree cittadine.
Sono ammesse, ad esempio - nel rispetto di principi specifici - telecamere sui mezzi di trasporto pubblici o nei luoghi di culto e sepoltura, per prevenire atti vandalici e aggressioni. Mentre sono ingiustificate le installazioni finalizzate alla repressione del divieto di fumare, di calpestare le aiuole ecc.
Secondo il Garante, possono essere installate telecamere di sorveglianza anche senza il consenso degli interessati, quando chi intende rilevare le immagini deve perseguire un interesse legittimo a fini di tutela di persone e beni rispetto a possibili aggressioni, furti, rapine, danneggiamenti, atti di vandalismo, prevenzione incendi, sicurezza del lavoro.
Le riprese di aree condominiali da parte del condominio è ammessa, previa deliberazione di assemblea, per preservare da concrete situazioni di pericolo le persone e il patrimonio comune.
L’installazione da parte di singoli condomini richiede, invece, l’adozione di alcune cautele: l'angolo di visuale deve essere limitato ai soli spazi di propria pertinenza, non devono essere inquadrate le aree comuni e le aree di pertinenza di altri condomini e i videocitofoni possono essere utilizzati solo come strumenti di identificazione dei visitatori, senza registrazione delle immagini.
Gianluca Pomante,
Avvocato
Esperto in tema di Privacy e IT