La Direzione Territoriale del Lavoro di Milano ha autorizzato un progetto che prevede la ripresa diretta dei lavoratori per mezzo di telecamere equipaggiate dal Protocollo di criptazione Ant@res.
Massimiliano Cassinelli
Lo scorso maggio, la Direzione Territoriale del Lavoro di Milano ha autorizzato l'installazione di tre telecamere, puntate direttamente sui dipendenti di un'azienda.
Questo perché, come si legge nel provvedimento trasmesso anche ai sindacati, “i filmati sono resi non consultabili da parte di alcuno sino dalla loro generazione e la memorizzazione all'interno delle telecamere stesse avviene attraverso criptazione in chiave asimmetrica, con conservazione della chiave di decriptazione (denominato "Protocollo Ant@res") depositata presso un ente certificazione esterno, il quale ha mandato di consegnare la chiave (fisica) alle sole Forze dell'Ordine esclusivamente in caso di indagine susseguente un atto criminoso”.
“Un'approvazione che - spiega Vincenzo Corradi, titolare di Antares - certifica come la nostra soluzione non violi lo Statuto dei lavoratori. Il sistema di videosorveglianza, infatti, non è ritenuto invasivo, in quanto non esiste la possibilità di visualizzare le immagini in modo fraudolento”.
Questa decisione arriva a coronamento di una serie di riconoscimenti a tutti i livelli...
L'autorizzazione esplicita a installare le telecamere equipaggiate con il nostro protocollo di criptazione rappresenta la conferma delle certificazioni che avevamo già ottenuto nei mesi scorsi. Il “Protocollo Ant@res", infatti, è già protetto da brevetto europeo ed è stato approvato sia dalla Direzione Territoriale del Lavoro di Milano sia dalle principali organizzazioni sindacali. Ma mancava ancora un'autorizzazione al suo impiego in un ambiente di lavoro reale e questo precedente ci consente di proporre analoghe installazioni negli ambienti più svariati.
Quali sono, a suo avviso, i settori interessati?
Realtà come banche, gioiellerie o tabaccherie - nelle quali avvengono spesso furti e rapine - sono fra i settori più interessati. Verrebbe, infatti, aumentata la sicurezza senza intaccare i diritti dei lavoratori presenti. Ma ci stiamo confrontando anche con ospedali e case di cura, dove la possibilità di registrare immagini che verrebbero visualizzate solo a fronte di denunce circostanziate, permetterebbe di proteggere anche l'integrità fisica di persone, malate o svantaggiate, che subiscono abusi da parte del personale. In ogni caso, trattandosi di immagini messe a disposizione delle sole Forze dell'Ordine, la privacy di pazienti e operatori è comunque garantita. In Italia sono in funzione 2 milioni di telecamere, alcune delle quali operano in modo non del tutto regolare… Con la nostra soluzione, potrebbero essere rispettate tutte le norme di legge e, soprattutto, verrebbe aumentata davvero la sicurezza di tutti…
Un'affermazione forte la sua...
Prendiamo un caso concreto come l'attentato alla scuola di Brindisi. Le telecamere hanno ripreso l'attentatore nel momento in cui azionava il telecomando, fornendo preziosi elementi agli inquirenti. Però, per legge, le immagini riprese non possono essere conservate per oltre 24 ore. Per questa ragione non esistono filmati che testimonino quanto avvenuto nei giorni precedenti o il coinvolgimento di eventuali complici. Inoltre, anche se qualcuno fosse in possesso di queste immagini, potrebbe non metterle a disposizione per evitare di incorrere nelle sanzioni previste dalle norme sulla Privacy. Con la nostra criptazione, invece, quelli che vengono registrati non sono classificati come dati e, quindi, le “immagini” potrebbero essere conservate per tempi molto più lunghi, senza nessuna violazione delle leggi.
Per il lavoratore, però, la sensazione di essere costantemente monitorato potrebbe essere sgradevole...
Questo è vero solo per chi commette reati. Tutti gli altri sanno che le immagini non sono in alcun modo visibili, se non a seguito di un reato e di specifiche richieste degli organi inquirenti. E nessun datore di lavoro potrebbe utilizzarle per un controllo da remoto.
Il dipendente, però, vede solo una telecamera. Non sa che cosa accade realmente alle immagini registrate...
Per evitare una simile situazione, abbiamo creato e registrato il marchio Vrs - Videoregistrazioni di sicurezza - che verrà posto su tutte le telecamere sviluppate con il produttore Selea. Questo, unito alla necessaria comunicazione da parte del datore di lavoro, rappresenterà una garanzia. In ogni caso, tutte le telecamere dotate di protocollo Ant@ares saranno identificate da un numero seriale e, nel nostro database, terremo traccia delle installazioni realizzate. Questo significa che gli enti preposti al controllo, ma anche i singoli che avanzeranno una richiesta precisa e circostanziata, potranno sapere se un impianto utilizza effettivamente il nostro sistema di criptazione. Qualunque violazione, ovviamente, rappresenterebbe un illecito penale, contro i diritti dei lavoratori, a cui si aggiungerebbe l'utilizzo fraudolento di un marchio registrato, per il quale ci tuteleremo con azioni legali mirate.
Non temete che, comunque, una simile idea possa essere copiata?
Anche se abbiamo assunto tutte le possibili tutele, non possiamo essere sicuri che ciò non accada. In ogni caso, lo sviluppo della tecnologia, ma anche l'iter burocratico necessario per le approvazioni a livello nazionale ed europeo, hanno richiesto lunghi tempi che, quindi, ci garantiscono un vantaggio competitivo di almeno un anno rispetto ai concorrenti.
Non trattandosi di dati, in definitiva, non sarà più necessario nemmeno attivare tutte le comunicazioni relative alla privacy, partendo dal posizionamento dei cartelli che indicano un'attività di videosorveglianza?
Teoricamente non sarebbero più necessarie. Ma vengono comunque prescritte dalla Direzione Territoriale del lavoro. Credo che i cartelli rappresentino un autentico deterrente. Inoltre, una corretta informazione previene una serie di tensioni che, proprio grazie alla nostra criptazione, possono essere evitate.