L’arte della sicurezza – Beni culturali, furti in diminuzione

Pur risultando i furti di beni culturali in netta diminuzione, restano ancora aperte alcune criticità in alcuni territori della nostra Penisola, così come nei luoghi di culto e di proprietà comunale

Con l’arrivo dell’anno nuovo, giungono finalmente buone notizie sul fronte della sicurezza anticrimine in riferimento ai beni culturali. I furti di opere d’arte sono sensibilmente diminuiti. «Vuol dire forse che c’è maggiore attenzione alla custodia o che qualche gruppo criminale dedito al settore ha cessato l’attività», ha dichiarato il Comandante dei Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale Generale di Brigata Roberto Riccardi.

I numeri sono inequivocabili: dal 2013 al 2019 il totale dei furti di beni culturali da 676 è diminuito a 345, riducendosi perciò quasi della metà.

Certamente, non mancano alcune criticità. Per esempio, pur nello scenario generale positivo, un sensibile incremento dei furti di beni culturali si segnala in Umbria (+15 casi in un anno) e in Trentino Alto Adige (+8). Le regioni più colpite, comunque, sono state la Lombardia (53 episodi), l’Emilia-Romagna (48) e il Lazio (47).

Sono, poi, i luoghi di culto a rappresentare ancora oggi l’obiettivo principale (135 eventi segnalati su 345). Vi è, poi, un terzo elemento su cui riflettere: «Per quanto concerne i furti segnalati in danno dei luoghi della cultura, si evidenzia che ben 7 dei 14 eventi riguardano quelli di proprietà comunale che, pertanto, si confermano i più colpiti», recita il documento riepilogativo dei carabinieri.

Inoltre, nonostante gli eventi denunciati risultino in diminuzione, aumenta il numero di oggetti trafugati (+58%, per un totale di 13.291), con una netta predominanza della numismatica con vittime le abitazioni private.

Da dove arrivano le buone notizie

Tornando alle note liete, nel giro di un solo anno, si è registrato un netto calo di furti innanzitutto in regioni come l’Emilia Romagna (-25 episodi), le Marche (-25), il Piemonte (-20) e la Campania (-15).

Gli episodi, inoltre, sono diminuiti in tutti i luoghi: archivi pubblici, privati ed ecclesiastici (-50%), biblioteche pubbliche e private ecclesiastiche (-42,8%), luoghi di culto (-35,4%), musei e pinacoteche (-33,3%), luoghi privati (-18%) e luoghi espositivi pubblici e privati (-10,1%).

Inoltre, altra buona notizia, per quanto riguarda i furti nei luoghi ecclesiastici della cultura, le Diocesi continuano a porre forte attenzione nell’implementazione dei sistemi di sicurezza delle proprie strutture museali.

Infine, per quanto riguarda i quasi 5mila musei italiani censiti, l’incidenza dei furti di beni culturali non va oltre un marginale 0,28%. Naturalmente, l’obiettivo è di migliorare ancora di più tale dato nel prossimo futuro.

Le attività investigative del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale si sono sviluppate in più direzioni, non soltanto a livello nazionale, con una decisa presenza capillare sul territorio, ma anche oltre confine, con l’identificazione dei personaggi implicati nel settore, attività di prevenzione e non solo di repressione, fino al recupero delle opere d’arte illecitamente esportate.

Il ruolo delle piattaforme online

Non solo massima attenzione al mondo fisico. Il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale oggi sviluppa necessariamente le sue attività di controllo sulla commercializzazione di beni culturali anche attraverso il web, con attenzione a siti e-commerce sia specifici sia generici.

Difatti, la congiuntura economica degli ultimi anni ha modificato anche il commercio di beni d’arte e antiquariato, con una proliferazione di piattaforme virtuali che trattano beni culturali. Gli stessi social network sono sempre più utilizzati in questa direzione.

A favorire lo sviluppo del commercio sul web dei beni d’arte giocano l’anonimato apparentemente garantito da Internet, insieme con la percepita assenza di procedure e oneri di ogni genere. Da qui l’attenzione crescente al monitoraggio della rete, su cui il Comando Tutela Patrimonio Culturale ha acquisito competenze riconosciute a livello internazionale. I risultati? A seguito del monitoraggio web, nel 2019 sono stati 8.732 i beni sequestrati, con una netta prevalenza dell’area numismatica/archeologica. Insomma, on-line e off-line la lotta contro il crimine è serrata.

Difendere il patrimonio artistico nell’era Covid

Carabinieri
Comandante dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, Generale di Brigata Roberto Riccardi

Le origini del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale risalgono al 1969 per fronteggiare l’allarmante fenomeno della depauperazione del patrimonio artistico e culturale del nostro Paese. Il 2020 - l’anno dell’emergenza causata dal coronavirus - ha posto nuove sfide. Risponde il Comandante dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, Generale di Brigata Roberto Riccardi.

Nell’attuale scenario pandemico, come sono evolute le vostre attività di prevenzione e repressione del crimine a danno dei beni culturali?

«Le misure restrittive adottate dal Governo e dalle Regioni durante la primavera 2020 hanno comportato anche la chiusura dei siti della cultura e delle attività commerciali di settore. Ciò ha fatto registrare un notevole calo dei reati commessi e ci ha indotti a orientare la prevenzione e il controllo in direzioni diverse da quelle consuete. Abbiamo potenziato il monitoraggio degli obiettivi culturali più esposti ad azioni criminali per via della chiusura e in molti casi della presenza di opere di grande valore lì stoccate per mostre programmate e poi sospese. Abbiamo intensificato i controlli del commercio delle opere d’arte sul web. Ci siamo concentrati principalmente su questi settori: controllo della rete per la ricerca dei beni culturali sottratti e di beni archeologici detenuti illegalmente, tanto dai siti dedicati alla vendita e alle aste quanto dalle pagine web e social dei privati, controlli dinamici dei musei, dei luoghi della cultura di maggiore importanza del territorio nazionale e dei luoghi religiosi, anche con l’obiettivo di verificare il rispetto delle disposizioni governative di chiusura delle attività commerciali».

L’attuale scenario pandemico che impatto ha avuto sulle attività criminali a danno dei beni culturali?

«La chiusura imposta dalle autorità, in vaste aree del mondo, ha portato numerosi esercizi di settore a incrementare ulteriormente l’utilizzo del web nella proposta commerciale di beni d’arte. Nella stessa direzione si stanno orientando i mercati sommersi. Per questa ragione si sta svolgendo un’analisi accurata e sistematica del tessuto economico del quale stiamo parlando, per capire se vi siano stati investimenti mirati a creare le condizioni per un inquinamento economico del settore, cambiamenti negli assetti societari e trasferimenti di proprietà delle imprese legate al mondo della cultura e colpite dalla crisi».

Il 2020 si è chiuso da poco: qual è il bilancio finale relativamente alle vostre azioni di contrasto al crimine a danno dei beni culturali?

«In particolare, durante il periodo del blocco sono stati 987 i servizi svolti, operando in 1.126 Comuni. Sono stati controllati 6.132 luoghi della cultura, 1.467 chiese, 1.107 negozi, case d’asta, gallerie, archivi e biblioteche. I Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale (TPC) si sono quotidianamente messi in contatto con i parroci per raccogliere informazioni su eventuali esigenze e criticità inerenti alla sicurezza dei luoghi di culto, secondo le indicazioni contenute nella guida pratica edita dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il Turismo, dalla Conferenza Episcopale Italiana e dallo stesso Comando TPC “Linee Guida per la Tutela dei Beni Culturali Ecclesiastici”. Nell’ambito delle attività promosse dal MiBACT, la componente “Unite4Heritage” (Caschi Blu della Cultura), insieme a funzionari ministeriali, ha svolto attività di prevenzione nei principali siti italiani dell’Unesco attraverso una campagna fotografica realizzata anche con l’ausilio degli elicotteri dei Carabinieri, per registrare l’impatto antropico sui monumenti. Il prezioso materiale raccolto servirà a rafforzare il sistema di protezione dei monumenti».

Programmare una tutela costante e sempre attiva

Fondazione Enzo Hruby
Carlo Hruby, vice presidente Fondazione Enzo Hruby

Per Statuto, la Fondazione Enzo Hruby promuove “una cultura della sicurezza intesa quale protezione o salvaguardia dei beni pubblici e privati - in primis, quelli di interesse artistico, monumentale, storico e paesaggistico - attraverso il corretto impiego di tecnologie appropriate”. Abbiamo a tal proposito intervistato Carlo Hruby, vice presidente della Fondazione Enzo Hruby.

Quali caratteristiche salienti devono possedere oggi i sistemi di sicurezza indirizzati con efficacia al settore dei beni culturali?

«I sistemi di sicurezza progettati per la protezione del patrimonio culturale devono rispondere a un’esigenza fondamentale, ovvero offrire ai beni una tutela costante e sempre attiva. Non è infatti ammissibile, come ancora oggi purtroppo spesso accade, che la protezione si interrompa nel momento in cui la chiesa, il museo o la mostra vengono aperti al pubblico. Occorre quindi che oltre alla protezione perimetrale e volumetrica ci sia sempre un secondo livello di sicurezza, che consenta la fruizione degli spazi mantenendo attiva la protezione puntuale dei beni di maggior pregio. Per fare un esempio concreto, basta ricordare l’efficacia dei dispositivi accelerometrici, il cui utilizzo dovrebbe essere sempre più capillare. Questi dispositivi, di dimensioni estremamente contenute e facilmente occultabili alla vista, quando vengono fissati ai beni - siano essi sculture, dipinti, ceramiche, vetri o reperti archeologici - attivano un allarme che scatta a ogni rimozione o spostamento dell’oggetto. La tecnologia senza fili e le dimensioni estremamente ridotte permettono di non compromettere in alcun modo l’estetica degli ambienti e delle opere d’arte e, soprattutto nel caso delle esposizioni temporanee, il loro utilizzo permette di contenere i costi della messa in sicurezza».

Quali sfide comportano i sistemi di sicurezza in termini di pianificazione e installazione?

«Ogni installazione comporta una sfida, e sta nella capacità del professionista della sicurezza vincerla, progettando soluzioni su misura per ciascun contesto specifico. La nostra Fondazione premia ogni anno questa abilità con il Premio H d’oro, e spesso anche nell’ambito del nostro concorso vediamo che la criticità maggiore è rappresentata dai luoghi in cui si trovano i beni, la maggior parte dei quali collocati in antiche chiese e in edifici storici sottoposti ai vincoli delle Soprintendenze e con particolarità strutturali tali da non consentire l’utilizzo di sistemi cablati. In Italia abbiamo anche numerosi parchi archeologici, che conservano all’aperto tesori straordinari. In entrambi questi contesti la tecnologia ci viene in aiuto con soluzioni all’avanguardia, tra cui sistemi senza fili ad elevata affidabilità utili nel primo caso e telecamere termiche utili nel secondo, anche nell’eventualità di aree molto estese e in condizioni climatiche critiche».

Quali tecnologie di sicurezza potrebbero essere maggiormente impiegate in futuro, per meglio contrastare le attività criminali nell’ambito dei beni culturali?

«Penso che debbano essere sempre più sfruttate le potenzialità offerte dalla video analisi, che consente di trasformare i sistemi di videosorveglianza in efficaci soluzioni per la prevenzione. La video analisi è davvero molto utile perché consente di analizzare e gestire il flusso dei visitatori non solo in un’ottica di protezione dei beni e delle persone ma anche per ottimizzare l’offerta al pubblico, in un’ottica di business intelligence, contribuendo a una migliore e maggiore fruizione del nostro patrimonio culturale. Quello che però vorrei maggiormente sottolineare è che per proteggere adeguatamente il nostro inestimabile tesoro non è sufficiente dotare musei e monumenti delle più avanzate tecnologie, ma bisogna creare una cultura della sicurezza che sia condivisa e diffusa. Tre aspetti sono fondamentali: insegnare ai giovani ad amare e rispettare il tesoro che ci circonda, far conoscere agli operatori dei beni culturali le potenzialità offerte dalle moderne tecnologie e coinvolgere sempre di più in questo processo i professionisti della sicurezza».

 

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