«Ho letto di una sentenza della Cassazione che ha riconosciuto ampi poteri d’indagine agli investigatori privati. Di cosa si tratta?», chiede un lettore di Sicurezza.
Risponde Gianluca Pomante, avvocato cassazionista esperto di Data Protection.
Sulla portata e i limiti dell’attività degli investigatori privati è recentemente intervenuta la Corte Suprema di Cassazione, in relazione al procedimento penale a carico del titolare di un’agenzia investigativa che aveva superato i limiti temporali e materiali del proprio mandato, pedinando la moglie di un cliente anche quando non era in compagnia della figlia (sull’affidamento della quale era in corso una causa civile) e installando un localizzatore satellitare sulla sua autovettura, nonostante l’incarico non prevedesse tali attività.
La sorveglianza si era, inoltre, protratta di circa una settimana oltre il termine di scadenza concordato con il cliente. Nel proprio rapporto, inoltre, l’investigatore aveva relazionato anche sugli incontri della donna con il nuovo compagno e scattato foto che la ritraevano in compagnia di quest’ultimo, estendendo le attività di sorveglianza a fatti non rientranti nell’oggetto dell’incarico.
In relazione all’ipotesi sanzionata penalmente dall’art. 167 del previgente Codice per la tutela dei dati personali, D. Lgs. 196/2003, la Corte ha ritenuto insussistente la condotta contestata all’investigatore, sia per l’assenza di un reale nocumento ai diritti dell’interessata, sia perché la nuova formulazione della disciplina di settore ritiene perseguibile un eventuale illecito solo in sede civilistica ammesso che sia quantificabile il danno subito dal richiedente tutela.
Il Collegio ha sintetizzato dalla vicenda il principio che “...la produzione in un giudizio civile di documenti contenenti dati personali, ancorché effettuata al di fuori dei limiti del corretto esercizio del diritto di difesa, non integra il nocumento all’interessato che permette di configurare il reato... ...trattandosi di informazioni la cui cognizione è normalmente riservata ai soli soggetti professionalmente coinvolti nella vicenda processuale, sui quali incombe un obbligo di riservatezza”.
La Corte non esclude, quindi, che possa esservi un risarcimento in sede civilistica, che esula tuttavia dalla sua competenza. Non si può parlare, pertanto, di “estensione” dei poteri degli investigatori privati, ma semplicemente della corretta applicazione di una norma che, nel frattempo, è anche cambiata in senso favorevole all’imputato.