Abbiamo partecipato all’Acronis Global Cyber Summit 2020, dove per l’occasione abbiamo intervistato Serguei Beloussov, Ceo e co-founder. Mercato, tendenze e risvolti della criminalità informatica: Pmi e privati cittadini devono tutelarsi
Il cyber crime rappresenta oggi il 10% del totale dell’attività illecita globale, racconta Serguei Beloussov, Ceo e co-fondatore di Acronis, ma è destinato a crescere e pone già alle persone e alle aziende sfide che vanno affrontate: la crescita esponenziale dei dati, che non sono gestibili con un’intelligenza unicamente umana; il problema dei costi, che impone delle scelte su cosa proteggere e cosa rimandare: la pervasività del tema della criminalità informatica, che coinvolge già tutti i dispositivi smart, dal cellulare alla macchinetta del caffè. Infine il tema della privacy, che secondo Beloussov è totalmente trascurato.
L’occasione per parlare di questi temi è stata l’Acronis Global Cyber Summit 2020 in Svizzera (19-21 ottobre), nella sede di Sciaffusa (Zurigo). Il summit, organizzato in parte anche con ospiti dal vivo, tra cui 150 tra leader aziendali, esperti di cyber security e campioni dello sport, oltre a noi giornalisti di “Sicurezza”, ha illustrato (sul canale Acronis di YouTube sono disponibili le sessioni) le novità in tema di soluzioni antiviolazione, con un contorno di interventi ed eventi tra il ricreativo e il formativo.
Ci si tutela abbastanza verso i crimini informatici?
S. B.: «No, a causa di tre ordini di problemi. Il primo, le persone non vedono il crimine informatico come un vero crimine, nemmeno se capita a loro. L’hacker rimane un personaggio mitologico con un certo fascino. Eppure si va in galera, come per lo spaccio di droga. Secondo problema: il 75% delle Pmi in Italia, che nel mercato sono la maggioranza, pensa che non potranno mai tutelarsi: a loro sembra un obiettivo irraggiungibile. Non possono permettersi un Cso (Cyber security officer), è vero, ma proprio per questo hanno bisogno di un service provider che se ne occupi al posto loro. Terzo problema: le famiglie non sono protette e non percepiscono come minaccia l’attacco informatico. Invece lo è, perché in casa i device smart aumentano e il cyber crime è automatizzato, quindi colpisce tutti a costi bassi. Anche chi guadagna poco e crede di essere al sicuro».
L’attacco a Pmi e famiglie è una novità del Covid?
S. B.: «No, diciamo che sarà sempre più rilevante a causa dell’automazione degli attacchi e della semplicità delle azioni criminose: oggi un bambino di 10 anni che segue un tutorial sul pc può creare una voce contraffatta copiando quella di chiunque, e può fare lo stesso con un video».
Cosa possono fare Pmi e privati per proteggersi?
S. B.: «Possono prendere consapevolezza e formarsi. Noi infatti ci stiamo organizzando per fare corsi di formazione online nei prossimi mesi. L’educazione informatica dovrebbe fare parte del corredo di ciascuno, proprio come quella ricevuta in famiglia per l’igiene o la vita sociale. Poi dovrebbero trovare un service provider che le aiuti a scegliere strumenti come il nostro, che controllano tutti gli aspetti: non ci si può lavare le mani solo “in parte”... Lo stesso avviene con la protezione dal cyber crime: bisogna essere pronti a recuperare dopo l’attacco, e capire cosa è successo, altrimenti si ripeterà».
Il problema della privacy come viene affrontato?
S. B.: «Il problema è enorme ma la gente non ne è abbastanza cosciente. Internet, smart tv, smartphone, ma anche il frigorifero ormai tutto ci ascolta e i dati vengono usati per manipolare le persone, vendere o fare politica. Tutti pensano male del Governo, ma le aziende commerciali sono più preoccupanti. Siamo abituati alla privacy come a qualcosa di fisico scoperto con la cacciata dal Paradiso Terrestre: a casa ci crediamo al sicuro ma non è così, nel mondo cyber tutto è trasparente. Nella vita cosa possiedi veramente? Non il denaro, non la fama o il potere. Possiedi il tempo e la libertà di scelta… alcuni anche l’amore».