Impianti privati in spazi comuni

videosorveglianza

Finalità di utilizzo delle riprese delle telecamere e diritto alla riservatezza di terzi interessati rappresentano i nodi su cui ha ragionato la Corte d’appello di Catania, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità di installare un sistema di videosorveglianza privato in un condominio.

I condomìni sono spazi vita­li e condivisi in cui dovrebbe trovare massima espressione il concetto di civile convivenza. Purtroppo, nella maggior parte dei casi - complice anche l’accelerazione dei ritmi quotidiani dovuta all’at­tuale stile di vita - questi spazi si caratterizzano, invece, come luoghi di conflitto sociale ben più deleteri rispetto all’ambiente esterno.

Negli scorsi mesi è pervenuta all’attenzione del­la Corte d’Appello di Catania una situazione di contrasto in ambito condominiale, nata a causa dell’installazione, da parte del proprietario dei locali collocati al piano terra dello stabile, di un impianto di videosorveglianza di due telecamere, posizionate a sorvegliare l’accesso alla casa.

Il caso in giudizio

videosorveglianza

L’iniziativa, adottata senza un preventivo passaggio in assemblea, è stata ritenuta illegittima da alcuni condòmini, che hanno deciso di con­testare la mancata autorizzazione dell’installa­zione, chiedendone formalmente la rimozione.

Nel corso della fase stragiudiziale, il contrasto tra le rispettive posizioni ha visto una rapida escalation, spingendo il proprietario dei locali a promuovere un’azione giudiziaria finalizzata a ottenere la conferma della legittimità dell’in­stallazione dell’impianto di videosorveglianza, riconoscendo l’assenza di qualunque lesione del diritto alla riservatezza inteso come facoltà dei condòmini di utilizzare gli spazi comuni sottoposti a videosorveglianza.

Il Tribunale di Catania ha rigettato l’istanza, ma l’interessato ha proposto un appello, lamentan­do la violazione ed erronea applicazione della normativa che disciplina il trattamento dei dati personali (con riferimento al D.Lgs. 196/2003 e non al nuovo Reg. UE 679/2016, sebbene i principi richiamati siano sostanzialmente gli stessi) e dell’art. 1122-ter del Codice Civile.

In particolare, l’appellante ha fatto riferimento all’art. 5 del D.Lgs. 196/2003 e al principio ivi sancito del divieto di diffusione dei dati persona­li, evidenziando che nella sorveglianza di spazi comuni come pianerottoli e vie d’accesso allo stabile non è possibile riscontrare nessuna lesio­ne del diritto alla riservatezza: si tratta infatti di ambienti che non sono funzionalmente destinati all’esplicazione della vita privata, al riparo da sguardi indiscreti. Non essendo i filmati acquisiti dalle telecamere destinati alla diffusione, ma al solo utilizzo per finalità di tutela della proprietà privata, non è possibile ipotizzare - in caso di eventi lesivi dell’integrità dei locali - alcuna le­sione dei diritti dei condòmini.

Il proprietario dei locali contesta nell’appel­lo anche l’erroneo riferimento, nella sentenza impugnata, all’art. 1122-ter del Codice Civile, finalizzato a regolamentare la realizzazione di impianti di videosorveglianza da parte del con­dominio stesso sulle parti comuni, a tutela di tutti i condòmini, e non le installazioni che il sin­golo realizza per tutelare la propria abitazione.

Condizioni per la legittimità dell’impianto di videosorveglianza 

La Corte d’Appello ha accolto la tesi con la sen­tenza n. 317 del 15 febbraio 2022, nella quale si rimarca come l’art. 1122-ter del Codice Civile non possa essere applicato al caso in esame, dato che l’impianto di videosorveglianza risulta installato per proteggere beni del singolo condòmino, nella sostanza individuato nell’appellante.

Tale decisione è basata, in particolare, sull’e­sito della CTU (Consulenza Tecnica d’Ufficio) disposta in primo grado, da cui si evince che le due telecamere fisse, contrapposte l’una all’al­tra, consentono unicamente la sorveglianza dei locali al piano terra di proprietà dell’appellante. Non sono consentiti brandeggio e zoom, per cui non è possibile modificare il settore di ripresa dei dispositivi, posizionati in spazi comuni che risultano decentrati rispetto alle ordinarie vie di accesso all’edificio.

Peraltro, l’ingresso sot­toposto a videosorveglianza non è uno spazio comune: gli accessi condominiali, pedonale e carrabile risultano estranei ai settori di ripresa, quindi il problema dell’eventuale lesione della riservatezza riguarderebbe solo i soggetti che accedono o si avvicinano all’ingresso della pro­prietà dell’appellante. La Corte ha evidenziato anche la mancanza di prove circa la lesione della riservatezza ai danni degli altri condòmini, con riferimento all’uso dei dati che il titolare del trattamento avrebbe fatto per finalità diverse da quelle dichiarate.

A supporto della decisione, i giudici del collegio hanno richiamato la giurisprudenza della Corte Europea di Giustizia (Sent. 708/2019, sez. III) e numerose pronunce del Garante per la prote­zione dei dati personali e della Corte Suprema di Cassazione, tutte conformi nel ritenere legit­timo l’uso di sistemi di videosorveglianza per la tutela della proprietà privata e la sicurezza delle persone. Il bilanciamento di interessi - che deve comunque essere operato nel momento in cui una finalità privata si scontra con il dirit­to delle persone a non essere oggetto di ripre­se da parte di terzi - consente di far pendere il piatto dalla parte del titolare del trattamento.

Infatti, a fronte di una necessità di protezione facilmente dimostrabile viste le frequenti aggressioni al patrimonio che avvengono ormai in ogni città e luogo, per vietare il trattamento dei dati occorrerebbe provare una concreta (e non teorica) lesione del diritto alla riservatezza; bi­sogna inoltre ricordare che la facoltà di sottrarsi alle registrazioni delle telecamere è esercitabile semplicemente facendo attenzione ai cartelli di avviso che ne segnalano la presenza.

L’impianto appare quindi del tutto legittimo in quanto le telecamere, pur riprendendo un vialet­to condominiale, non riprendono l’interno della proprietà di altri condòmini; non appare plausi­bile neppure un generico riferimento alla lesione del diritto all’autodeterminazione a causa della presenza delle telecamere, riguardando l’instal­lazione uno spazio comune raramente soggetto al passaggio degli altri condomini, essendo di stretta pertinenza e prevalentemente a servizio della proprietà immobiliare del titolare.

Videosorveglianza in spazi comuni - Conclusioni

L’ultimo aspetto analizzato dalla Corte d’Appel­lo di Catania - seppure incidentalmente - con riferimento alle ulteriori contestazioni formu­late dal condominio in merito all’installazione dell’impianto di videosorveglianza, è la legitti­mità dell’installazione sulla facciata del palaz­zo, di cui determinerebbe la deturpazione e un uso in contrasto con il medesimo diritto di altri proprietari. Anche tale censura non coglie nel segno, dal momento che le telecamere possono essere installate sulla facciata condominiale in applicazione dell’art. 1102 del Codice Civile, che permette al singolo condòmino di utilizzare il bene comune senza comprometterne “il pari uso” agli altri comproprietari.

In buona sostanza, il principio che può essere dedotto dalla pronuncia giurisprudenziale è il se­guente: gli impianti di videosorveglianza instal­lati dal privato (anche sulla facciata dell’edificio) per finalità di tutela del patrimonio e dell’inco­lumità delle persone sono legittimi, anche senza deliberazione assembleare, a condizione che l’in­stallazione sia conforme ai principi oggi sanciti dal Reg. UE 679/2016 e dalle linee guida (luglio 2019) del Comitato Europeo per la Protezione dei Dati Personali; i dati acquisiti inoltre non devono essere oggetto di diffusione o comunicazione a terzi, in violazione delle finalità dichiarate.

ATTENZIONE

L’installazione dei cartelli che segnalano la presenza delle telecamere deve rispettare i criteri enunciati dal Garante italiano e dal Comitato Europeo per la protezione dei dati personali:

  • posizionamento in prossimità del raggio d’azione delle telecamere;
  • informazioni esaustive sul titolare, sulle finalità del trattamento e sui tempi di conservazione delle immagini;
  • visibilità anche nelle ore notturne.

I PRECEDENTI DELLA GIURISPRUDENZA

È possibile richiamare numerosi casi in cui l’installazione di impianti di videosorveglianza in spazi comuni è stata ritenuta legittima. Vediamone alcuni.

Copiosa e consolidata giurisprudenza di legittimità (Cassazione, Sez. V penale, n. 34151/2017; conf. n. 44156/2008; Cass. Civile, Sez. I, 71/2013) esclude l’esistenza di una violazione del diritto al controllo dei propri dati personali quando l’impianto di videosorveglianza è destinato a tutelare aree condominiali (portone di accesso, scale, pianerottoli e aree a parcheggio) che, per loro natura, sono destinate a essere utilizzate da un numero indeterminato di persone.

A ulteriore conferma di tale interpretazione è possibile richiamare il recente arresto giurisprudenziale della Suprema Corte, che ha ritenuto legittima l’installazione di telecamere su edifici pubblici e privati che riprendono spazi pubblici - se finalizzata alla tutela del patrimonio e della sicurezza delle persone. In tali spazi non esiste infatti legittima aspettativa di riservatezza da parte del privato, fermo restando che l’uso delle immagini sia conforme alla finalità dichiarata e la loro conservazione limitata nel tempo.

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