Il terrorismo corre sul Web

Oggi, la prima sfida da affrontare corre sul Web. Il terrorismo passa molto meno dai sermoni fatti dagli imam predicanti lo jihad, bensì dalla rete Internet. Proprio su questo i terroristi stanno puntando molto.

Gianni Andrei
Esperto di sicurezza integrata
Docente a contratto di “Risk Analysis” e “Organizzazione di Sicurezza ed Emergenza” presso l’Università di Roma Tor Vergata
Presidente di A.I.PRO.S. - Associazione Italiana Professionisti della Sicurezza

 

Agli inizi dell’attuale nuovo secolo, sin dagli anni 2000 e 2001, gli studiosi e gli specialisti della security cominciarono a confrontarsi su alcuni scenari emergenti con prepotenza.
Tutti concordi sulla previsione di un futuro molto complesso, dove alla crescita della popolazione fanno riscontro enormi problemi planetari che, in termini di valenza, “potrebbero veramente compromettere la possibilità di continuare a vivere sulla Terra”.
Si disse, comunque, che le problematiche relative all’inquinamento atmosferico e alimentare, alle risorse energetiche e alle malattie non avrebbero costretto neanche i nostri nipoti a emigrare e vagare per il sistema solare; ma certamente la qualità della vita, almeno quella che negli ultimi cinquant’anni, seppur tra luci e ombre, si era radicata nei Paesi occidentali, era da considerarsi in serio pericolo.
Il fenomeno della globalizzazione, che aveva ormai abbattuto i confini di ogni stato e di ogni continente, avanzava con tutti i suoi problemi, crescendo a una velocità di gran lunga superiore alle risposte.
Tant’è che, si disse ancora, “la mancata soluzione di problemi interni di determinati Paesi finirà per superare le frontiere e, in breve, per coinvolgere tutti gli altri”.
Ci fu addirittura chi richiamò le nefaste profezie di Malachia o di Nostradamus per invocare, da parte dei governanti della Terra, immediatezza e risolutezza nell’affrontare tali problematiche.

Una storia già scritta
Se la miriade di conflitti etnici e politici oggi continua a provocare flussi migratori imponenti e drammatici, specie verso l’Europa sud-occidentale, non meno gravi appaiono le problematiche radicate in alcuni Paesi del vecchio continente, come l’Italia, dove la criminalità, più o meno organizzata, sembra a volte penalizzare e vanificare la sicurezza della gente.
Forse anche l’essersi resi conto dell’inadeguatezza delle risposte concrete a tali fenomeni, e soprattutto gli sconvolgenti attentati alle Twin Towers, hanno favorito l’esigenza di confrontarsi a livello internazionale, rimettendo un po’ tutto in discussione: dai ruoli della comunità di intelligence alle priorità da affrontare con una cooperazione internazionale, dalla geopolitica alle minacce economiche, dalla lotta contro il crimine organizzato al terrorismo.
Inoltre, che dire di alcune grandi organizzazioni criminali che curano, in particolar modo, il narcotraffico e l’immigrazione clandestina, nonché delle mafie internazionali, le quali tutte stanno effettuando da anni grandi investimenti di denaro, pulito e non, per penetrare legalmente nell’economia italiana ed europea?
Singolare è che, negli anni 2000-01, suscitassero apprensione “… quei Paesi che, prima o poi, non avranno più una guida forte (vedi Cuba e Libia) e che potranno divenire culla e luogo di addestramento del terrorismo, come già lo sono Algeria, Afghanistan, Sudan, Niger, Iraq … per non parlare poi dell’impenetrabile Corea del Nord”.
Una storia già scritta, quindi.

La complessità dell’analisi odierna
Credo che anche all’opinione pubblica, sempre più martellata da immagini e notizie, siano ben chiari i presupposti e le motivazioni che hanno da tempo generato, e continueranno a generare, gruppi e attività criminali e terroristiche, facilmente riconducibili a:

- cause politiche ed economiche
- cause di origine etnica e religiosa
- cause di origine ideologica
- anarco-insurrezionalismo
- fanatismo, radicalismo e fondamentalismo

Ma l’aspetto forse più preoccupante, è il fenomeno per cui individui, motivati da diverse cause e ideologie, possono dare vita a gruppi eterogenei che condividano, seppur temporaneamente, gli stessi obiettivi.
Se ci limitiamo (se mai fosse possibile) al nostro Paese, uno dei grandi potenziali rischi è oggi rappresentato dall’estremismo di stampo fondamentalista.
Un dato che fa riflettere e dibattere da molto tempo, è che in Italia, ma non solo, si sono moltiplicati i Centri di Cultura Islamica.
Professare la propria religione è senz’altro un diritto universale.
Ma, in alcuni casi, anche mediante tali organismi si è cercato e si cerca di convogliare l’interesse a un radicamento culturale ed economico, se non addirittura di reclutare combattenti e terroristi.
L’aspetto allarmante (anche questo ben previsto) è che si è registrata una crescente conversione religiosa all’Islam da parte di molti occidentali, i quali, proprio perché convertiti in età adulta, sono più inclini al fanatismo e risultano praticamente insospettabili in virtù del loro luogo di nascita.
Se conduciamo un’analisi dal punto di vista storico, alla luce degli eventi accaduti in vari Paesi, almeno dagli ultimi cinquant’anni ad oggi, essa ci mostra chiaramente che, laddove uno Stato non sia “forte”, gruppi organizzati tentano di sostituirsi ad esso, a volte riuscendoci.
Una altrettanto semplice analisi dal punto di vista etico-sociale e del costume, ci consente di evidenziare, nella nostra società, la grandissima dipendenza dai modelli virtuali, che ci vengono continuamente propinati e imposti da televisione e giornali, così come dalle martellanti campagne pubblicitarie, tese a immortalare degli stereotipi completamente avulsi dalle possibilità e dalle realtà collettive e individuali.
Ecco allora che lo spirito di emulazione contagia tutti, grandi e piccoli, ricchi e meno abbienti, fino a seguire tendenze, mode, comportamenti e atteggiamenti spesso solo trasgressivi ma a volte molto pericolosi.
Certo, oggi è difficile educare ed educarci, specialmente quando spettacolarità e sensazionalismo, alimentati proprio dai mass-media, sono considerati, insieme al bisogno di apparire, primeggiare e farsi invidiare, gli obiettivi primari e irrinunciabili della vita.

La propaganda terroristica su Twitter
Ormai, la prima sfida da affrontare corre sul Web. Non è più necessario che i terroristi reclutatori e i reclutati interagiscano “de visu”.
Gli estremisti tendono ormai ad auto-radicalizzarsi online, rendendo perciò superflua l’interazione fisica con cellule o gruppi terroristici.
Il terrorismo passa molto meno dai sermoni fatti dagli imam predicanti lo jihad, bensì dalla rete internet.
Proprio su questo i terroristi stanno puntando molto.
Basti pensare all’incredibile utilizzo dei social network, in particolar modo di Twitter, con comunicati e messaggi spesso tradotti in inglese così da poter essere recepiti anche nell’Occidente “infedele” oppure con pubblicazione in lingua inglese, come quella intitolata “Inspire”, vero e proprio manuale per il terrorista perfetto (è qui possibile avere nozioni base per la costruzione di una bomba e suggerimenti sul punto migliore e più idoneo dove piazzarla nelle principali città degli USA).
Minacce, messaggi, pura propaganda che ha il preoccupante effetto di appassionare e di affascinare moltissime persone occidentali, come sottolineato dall’enorme presenza in Siria di militanti stranieri che si uniscono ai gruppi qaedisti e jihadisti.
Insomma, sembra proprio che l’uso di tecnologie informatiche ed elettroniche, sofisticate e d’avanguardia, renda scarsa la possibilità di attuare un’attività di prevenzione e difesa.

Le azioni da prevedere
Ma torniamo alle minacce mediatiche. La situazione è molto seria, perché, oltre a coloro che si sono senz’altro nascosti tra i migranti, ci sono anche i “convertiti”, italiani ed europei, che potrebbero entrare in azione a un cenno mediatico.
No, non credo proprio che vedremo mai le nere orde barbare avanzare in Italia.
Sono ormai sotto pressione militare e, proprio per questo, probabilmente attueranno l’unica strategia possibile e relativamente facile: indebolirci con il terrore mediatico sul Web, anche se non è purtroppo da escludere il ricorso ad altre disperate manifestazioni ben più dolorose.
Non è allora importante individuare il confine tra verità e menzogna di un annuncio o di un messaggio, perché tutto è possibile.
Relativamente alle azioni da prevedere, viene da pensare alle seguenti:

- sabotaggi (alimentari, idrici, sanitari, tecnici)
- attacchi informatici
- attacchi con esplosivi o gas
- attacchi balistici (anche con velivoli di piccole dimensioni e telecomandati)
- attacchi armati

Una piccola annotazione riguarda le sostanze con cui realizzare un attacco balistico: si potrebbe trattare di esplosivo, di materiale radioattivo, di gas letali, di sostanze tossiche, di composti chimici e biologici altamente nocivi e inquinanti dell’aria e del terreno.
Eccoci al dunque: il “problema dei problemi” è quello delle diffuse e reali vulnerabilità con cui quotidianamente viviamo.
Basti pensare alla molteplicità di luoghi produttivi e non, frequentati dal pubblico e caratterizzati da alta densità di affollamento e da accessi, spostamenti e permanenza occasionali, quali:

- centri commerciali e supermarket
- ospedali
- luoghi di culto
- locali di pubblico spettacolo (all’aperto e al chiuso)
- edifici e luoghi per lo sport e lo svago
- edifici storici rappresentativi, museali ed espositivi
- stazioni di ferrovie, metro e bus, porti e aeroporti
- scuole, atenei e istituti di istruzione
- edifici pubblici e di pubblica utilità (Poste, Uffici statali e amministrativi ecc.)

Tutti obiettivi ad alto impatto emotivo e spettacolare, ma altrettanto devastanti.

Vulnerabilità reali
Un assaggio delle possibili conseguenze legate a una vulnerabilità reale ci è stato offerto il 14 settembre scorso, quando a Roma è scattato lo “scramble” nel primo pomeriggio, a causa di un allarme bomba su aereo della compagnia libanese MEA proveniente da Ginevra e diretto a Beirut.
Il volo ME214 con 118 passeggeri a bordo e 7 componenti l’equipaggio è stato intercettato in Italia da due aerei Eurofighter che, per portarsi rapidamente a ridosso dell’Airbus, hanno ripetutamente superato la velocità del suono.
Già questo ha creato un notevole e diffuso allarme nell’opinione pubblica di parte dell’Italia centrale.
All’aeroporto di Fiumicino, l’aereo è stato evacuato, controllato e poi autorizzato a ripartire.
Falso allarme, quindi, che ha però bloccato i voli per due ore e ha generato caos e una grande percezione di insicurezza e impotenza tra la gente.
Mentre vengono diffusi filmati atroci di decapitazioni, operazioni di Intelligence e di Polizia hanno a metà settembre sventato in Australia uno spettacolare cruento attentato Isis: obiettivo era sconvolgere la città di Sydney rapendo e decapitando normali cittadini in pieno giorno.
Gli attacchi dovevano essere filmati e diffusi in rete dai membri dello Stato Islamico.
La notizia ha comunque provocato inquietudine nella società australiana.
Negli stessi giorni, a Londra, allarme bomba alla stazione della metropolitana Stratford, con evacuazione del centro commerciale attiguo e centinaia di persone in fuga.

Perché gli occidentali
si piegano all’Isis?

Anche l’Italia e il Papa hanno ricevuto minacce credibili. Significativa, poi, la notizia della morte in combattimento di una teenager austriaca che si era unita agli islamisti in Siria.
In Austria è per questo scattato il timore di casi di “emulazione”. Sembrerebbe che siano intorno a tremila i “foreign fighters”, soprattutto giovani e giovanissimi, europei (una cinquantina italiani), in larga parte musulmani, combattenti attivi del fanatismo religioso islamico tra Iraq e Siria.
Indottrinati dalla propaganda on-line, sono nella maggior parte dei casi dei veri e propri “trofei” dei jihadisti, sfruttati mediaticamente come schiaffo a quell’Occidente da cui provengono.
Rappresenterebbero ben il 10% dei combattenti (stimati complessivamente in 30.000), di cui almeno il 16% donne.
Per contrastare il fenomeno dei foreign fighters, è però necessario capire perché gli occidentali si piegano all’Isis.
Molti cittadini europei, soprattutto inglesi e francesi, ma anche tedeschi e italiani, vanno in Iraq e in Siria a combattere con l’Isis.
Per lo più si tratta di immigrati di seconda generazione, con genitori musulmani.
Ma ci sono anche occidentali che si sono convertiti all’Islam. Tutti sono giovani o giovanissimi.

Questa voglia di battersi a fianco dell’islamismo più radicale non ha, se non in parte, motivazioni religiose e neanche sociali.
Molti di costoro hanno posizioni di buon livello nella società.
E’ che la vita in una democrazia è percepita, specialmente dai giovani, come monotona, noiosa, senza rischi o emozioni forti.

Ma se da una parte l’accorrere dei ragazzi europei fra le file dell’Isis può essere considerato una variante di uno sport estremo, dall’altra - si dice - c’è anche una questione legata ai valori.
La democrazia è un sistema di regole e procedure che non è considerato un valore in sé.

Qualcuno afferma anche che “la religione cristiana non è stata capace di intercettare le esigenze di spiritualità che emergevano da un mondo che era diventato interamente materialista”.
Così molti europei si sono rivolti verso religioni o filosofie orientali.
L’islamismo radicale e guerriero offre, con i suoi valori, sbagliati o giusti che siano, uno sfogo a tali esigenze di spiritualità, oltre a quella di non sprecare una vita basata sul nulla.
Una delle forze dell’Isis sta nel nostro vuoto di valori, nella nostra apparente mancanza di coraggio e di dignità.
Per noi, una grande vulnerabilità!

I target di una “democrazia forte”
Forse quando questo articolo verrà pubblicato altri eventi saranno accaduti, si spera positivi.
Sta di fatto che l’individuazione e la conoscenza delle nostre vulnerabilità deve rappresentare un approccio culturale “quotidiano” per tutti i cittadini, non solo per gli addetti ai lavori.
Una presa di coscienza dei luoghi dove si vive e che si frequentano, abitualmente o occasionalmente, e la percezione di pericoli di security deve diventare per ognuno una consuetudine, una buona e corretta abitudine, così come per tutti gli altri rischi, naturali, incidentali o accidentali.
Noi professionisti della sicurezza dobbiamo contribuire a fare comprendere a tutti che una vulnerabilità è una debolezza che può essere sfruttata da una minaccia, ma che costituisce un rischio solamente quando la minaccia è in grado di sfruttarla concretamente.
Proclami e intimidazioni mediatiche devono metterci in allerta ma non gettarci nello sconforto e nel panico.
Ecco, dunque, che gli Stati occidentali vengono chiamati a un sforzo notevole.
I target di una “democrazia forte” dovrebbero allora essere almeno due:

- ribaltare tendenze e mode, con molta decisione e meno tolleranza (e non solo nella società)
- esercitare un controllo sui mass-media ai fini della sicurezza, in particolare allo scopo di evitare la grande pubblicità di minacce e di eventi, sia accaduti che sventati

Un’analisi della situazione attuale e del futuro prossimo porta facilmente a individuare, anche tra quelli che operano nella grande criminalità organizzata o che militano nei movimenti anarco-insurrezionalisti, i potenziali terroristi o coloro che possono trarre vantaggio dal “terrore”.
Se è stata raggiunta una concreta cooperazione internazionale, è però ineludibile colmare rapidamente la nostrana carenza di una cultura dell’intelligence e, in generale, di una cultura della sicurezza.
Dall’altro lato, è fondamentale la collaborazione di tutti i cittadini.
Tutti possiamo, dobbiamo vigilare, tenere la guardia alta (senza cedere a paura o a fatalismo) e segnalare eventuali comportamenti strani o sospetti alle Forze dell’Ordine.
Per questo, ancora una volta emerge l’esigenza di informare e formare la gente comune, utilizzando tutti i possibili strumenti, in particolare quelli dei mass-media, della scuola, dell’associazionismo.
Ricordandoci bene che quarant’anni fa la “strategia della tensione” mise in serio pericolo la nostra stabilità democratica.
La posta in gioco è ancora una volta la nostra libertà.

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