Le telecamere in ambito condominiale possono riprendere solo le aree comuni, evitando la ripresa di luoghi circostanti e di particolari che non risultino rilevanti. Al contrario, l’installazione nelle singole proprietà è consentita purché queste non invadano la sfera privata degli altri condòmini, evitando la ripresa di aree comuni o antistanti altre abitazioni. La parola all’avvocato.
Nel caso in cui un sistema di videosorveglianza sia installato dal condominio per controllare le aree comuni, devono essere adottate tutte le misure e le precauzioni previste dal Codice della privacy e dal provvedimento generale del Garante in tema di videosorveglianza.
Tra gli obblighi che valgono anche in ambito condominiale, vi è quello di segnalare le telecamere con appositi cartelli, eventualmente avvalendosi del modello predisposto dal Garante.
Le registrazioni possono essere conservate per un periodo limitato - tendenzialmente non superiore alle 24-48 ore - anche in relazione a specifiche esigenze, tra cui la chiusura di esercizi e uffici che hanno sede nel condominio e i periodi di festività. Per tempi di conservazione superiori ai sette giorni, è comunque necessario presentare una verifica preliminare al Garante.
In merito, si segnala il provvedimento dell’Autorità del 19 febbraio 2009, dove è stato considerato illecito alla luce dell'art. 11, comma 1, lett. e), del Codice, il trattamento delle immagini registrate dalla telecamera da parte di un condominio che prevedeva la conservazione delle stesse per un periodo di circa dieci giorni senza aver addotto esigenze particolari atte a giustificare la conservazione delle immagini raccolte per tale arco temporale.
Condomini: riprendere solo le aree comuni
Le telecamere in ambito condominiale devono riprendere solo le aree comuni da controllare (accessi, garage…), possibilmente evitando la ripresa di luoghi circostanti e di particolari che non risultino rilevanti (strade, edifici, esercizi commerciali ecc.).
I dati video raccolti devono essere protetti con idonee e preventive misure di sicurezza che ne consentano l’accesso alle sole persone autorizzate (titolare, responsabile o incaricato del trattamento).
In merito, si segnala il provvedimento dell’Autorità n. 75 del 13 febbraio 2014, con il quale il Garante ha ritenuto illecito il trattamento dei dati personali mediante videosorveglianza effettuato da un condominio, in quanto l'accesso alle relative immagini risultava consentito a una persona che era stata solo genericamente individuata dall'assemblea condominiale nel verbale assembleare, senza un puntuale atto di designazione quale incaricato del trattamento con il quale, in particolare, veniva individuato l'ambito del trattamento consentito nel rispetto di precise istruzioni impartite dal titolare del trattamento (art. 30 del Codice).
Inoltre, rispetto al trattamento in esame, non era stata prevista l'adozione di idonee e preventive misure di sicurezza tali da garantire l'accesso alle immagini alle sole persone debitamente autorizzate nel rispetto delle istruzioni ricevute.
Sempre in materia condominiale, si ricorda che la l. 11 dicembre 2012, n. 220, recante modifiche alla disciplina del condominio, nel dettare alcune disposizioni rilevanti in materia di protezione dei dati personali, ha modificato la disciplina delle delibere condominiali per l’installazione di impianti di videosorveglianza, di cui al nuovo art. 1122-ter, del codice civile (art. 7).
La disposizione sancisce che “le deliberazioni concernenti l’installazione sulle parti comuni dell’edificio di impianti volti a consentire la videosorveglianza su di esse sono approvate dall’assemblea con la maggioranza di cui al secondo comma dell’art. 1136 ”; quest’ultima disposizione, a sua volta, asserisce che “sono valide le deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio”.
Al riguardo, il Garante aveva in precedenti occasioni rappresentato agli organi competenti le ragioni per le quali appariva opportuno un intervento legislativo sull’argomento.
Difatti, l’Autorità con una segnalazione al Parlamento e al Governo del 13 maggio 2008 aveva evidenziato l’esistenza in materia di due contrapposti interessi: da un lato, l'esigenza di preservare la sicurezza di persone e la tutela di beni comuni; dall'altro, la preoccupazione che, nel rendere più agevolmente conoscibili a terzi abitudini e stili di vita individuali e familiari, si incida sulla libertà degli interessati di muoversi, non controllati, nel proprio domicilio e all'interno delle aree condominiali.
Considerato che il profilo in esame non trovava regolamentazione specifica e che gli orientamenti giurisprudenziali sull'utilizzo delle aree comuni non erano sufficienti a dissolvere tutti i dubbi, l'Autorità, anche alla luce di quanto previsto dalla disciplina penalistica in tema di interferenze illecite nella vita privata, auspicava un eventuale intervento normativo chiarificatore per un equo contemperamento tra i diritti fondamentali delle persone coinvolte e le legittime esigenze di difesa e protezione di persone e cose.
Telecamere nelle singole proprietà? Purché non invadano la sfera privata altrui
È consentita l’installazione di telecamere anche da parte di singoli condòmini, purché queste non invadano la sfera privata degli altri condòmini. Non è consentita, quindi, la ripresa di aree comuni o antistanti altre abitazioni.
In tal caso, difatti - come chiarito dallo stesso provvedimento generale sulla videosorveglianza - la disciplina del Codice privacy non trova applicazione qualora i dati non siano comunicati sistematicamente a terzi, ovvero diffusi, risultando comunque necessaria l'adozione di cautele a tutela dei terzi (art. 5, comma 3 del Codice, che fa salve le disposizioni in tema di responsabilità civile e di sicurezza dei dati).
In tali ipotesi, il trattamento dei dati viene svolto per fini esclusivamente personali e vi possono rientrare, a titolo esemplificativo, strumenti di videosorveglianza idonei a identificare coloro che si accingono a entrare in luoghi privati (videocitofoni ovvero altre apparecchiature che rilevano immagini o suoni, anche tramite registrazione), oltre a sistemi di ripresa installati nei pressi di immobili privati ed all'interno di condomini e loro pertinenze (quali posti auto e box).
Benché non trovi applicazione la disciplina del Codice, al fine di evitare di incorrere nel reato di interferenze illecite nella vita privata (art. 615-bis c.p.), l'angolo visuale delle riprese deve essere comunque limitato ai soli spazi di propria esclusiva pertinenza (ad esempio, antistanti l'accesso alla propria abitazione), escludendo ogni forma di ripresa, anche senza registrazione di immagini, relativa ad aree comuni (cortili, pianerottoli, scale, garage comuni), ovvero ad ambiti antistanti l'abitazione di altri condomini.
La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea
Ma la materia è destinata ad avere futuri sviluppi a seguito della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (11 dicembre 2014, causa C-212/13, František Ryneš c. Ú adpro ochranu osobních údaj).
Quest’ultima - nel fornire un’interpretazione autentica della nozione di “esercizio di attività a carattere esclusivamente personale o domestico”, in relazione all’utilizzo, da parte di una persona fisica, di telecamere installate in corrispondenza della propria abitazione per proteggere i beni, la salute e la vita dei proprietari della medesima e tale, tuttavia, da sorvegliare anche lo spazio pubblico prospiciente, con registrazione continua delle immagini riprese - influenzerà le future determinazioni dell’Autorità, specie in merito all’individuazione delle ipotesi rientranti nella clausola di esclusione dal novero del trattamento di dati personali di cui all’art. 5, comma 3, del Codice.
Nel caso di specie, difatti, la Corte di Giustizia ha ritenuto che l’articolo 3, paragrafo 2, secondo trattino, della direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, dev’essere interpretato nel senso che l’utilizzo di un sistema che porta alla registrazione video delle persone, immagazzinata in un dispositivo di registrazione continua quale un disco duro, installato da una persona fisica sulla sua abitazione familiare per proteggere i beni, la salute e la vita dei proprietari dell’abitazione, sistema che sorveglia parimenti lo spazio pubblico, non costituisce un trattamento dei dati effettuato per l’esercizio di attività a carattere esclusivamente personale o domestico, ai sensi di tale disposizione.
Secondo i giudici europei, la nozione di “dati personali” che compare nella disposizione in esame va interpretata conformemente alla definizione che figura nell’articolo 2, lettera a), della direttiva 95/46, “qualsiasi informazione concernente una persona fisica identificata o identificabile”.
Per cui, è considerata identificabile “la persona che può essere identificata, direttamente o indirettamente, in particolare mediante riferimento (...) a uno o più elementi specifici caratteristici della sua identità fisica”.
Di conseguenza, l’immagine di una persona registrata da una telecamera costituisce un dato personale ai sensi della disposizione menzionata nel punto precedente se - e in quanto - essa consente di identificare la persona interessata.
Inoltre, non vi è dubbio che un’attività di trattamento dati svolta attraverso un apparato di videosorveglianza che si estende, anche se solo parzialmente, allo spazio pubblico, non può essere considerata un’attività esclusivamente “personale o domestica”.
Probabilmente tale sentenza comporterà un aggiornamento del provvedimento generale in materia di videosorveglianza, che potrà avvenire in concomitanza anche dei necessari adeguamenti dovuti all’entrata in vigore del Regolamento Europeo sulla protezione dei dati personali.
Michele Iaselli
Avvocato
Presidente ANDIP - Associazione nazionale per la Difesa della Privacy
Docente di Informatica Giuridica presso la LUISS di Roma