Quanto costa la non-sicurezza? Da Roma risponde Carlo Hruby

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Il tesoro più grande. Come gli italiani pensano, tutelano e valorizzano il patrimonio culturale / volume pubblicato dalla Fondazione Enzo Hruby

Di cosa ha bisogno il patrimonio culturale italiano? E come va tutelato? A rispondere è Carlo Hruby, vicepresidente della Fondazione Enzo Hruby, dopo la presentazione a Roma del volume “Il tesoro più grande” lo scorso 6 marzo 

Un popolo orgoglioso del proprio sconfinato patrimonio artistico e culturale ma consapevole della necessità di tutelarlo e valorizzarlo meglio. È quanto emerge dall’indagine condotta da Astra Ricerche, i cui risultati sono presentati nel volume “Il Tesoro più grande. Come gli italiani, pensano, tutelano e valorizzano il patrimonio culturale”, pubblicato dalla Fondazione Enzo Hruby.

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Carlo Hruby, vicepresidente della Fondazione Enzo Hruby

Tra i temi indagati è anche la percezione della sicurezza del patrimonio artistico. Più dell’80% degli intervistati è consapevole della necessità di un maggior livello di protezione per i nostri beni culturali. «Quello che serve al patrimonio culturale italiano è un dialogo costante tra gli operatori della sicurezza e gli operatori dei beni culturali; quello che serve è anche la presenza di security manager all’interno dei poli museali», dice Carlo Hruby, vicepresidente della Fondazione Hruby, che abbiamo incontrato nel corso della presentazione del volume avvenuta lo scorso 6 marzo nella splendida Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani a Roma.

Nel suo intervento si è soffermato sul costo della “non-sicurezza”: cosa significa?

«Non proteggere adeguatamente il nostro patrimonio ha spesso un costo più alto di quello che deriverebbe da una protezione fatta con una logica di programmazione e prevenzione. Oggi è possibile avere sistemi molto affidabili che con una spesa contenuta consentono di proteggere adeguatamente beni e monumenti e favorirne la valorizzazione. Un bene protetto è infatti un bene che può essere fruito e generare un ritorno anche di tipo economico. Al contrario, un bene lasciato incustodito può essere rubato, vandalizzato o danneggiato. Il costo della non sicurezza è rappresentato dal costo che dobbiamo sostenere per recuperare le opere; c’è poi un costo che potremmo definire “lucro cessante”, nel momento in cui alcuni capolavori capaci di richiamare visitatori non sono più disponibili perché sottratti. Infine, c’è un costo sociale che deriva dall’impoverimento culturale determinato dal venir meno di opere importanti della nostra storia».

Quali sono le tecnologie più promettenti? Le applicazioni che potrebbero già da oggi migliorare la situazione complessiva dei nostri siti e musei?

«I beni che costituiscono il patrimonio culturale italiano sono così diversificati per epoca, tipologia, ubicazione, modalità di conservazione e di esposizione che necessitano di essere trattati con soluzioni diversificate, caso per caso. Premesso questo, vedo nei sistemi di analisi video, che consentono di agire in un’ottica di prevenzione dell’atto criminoso, la nuova frontiera della sicurezza. Molto utili sono anche le protezioni puntuali, che consentono di garantire alle opere protezione costante. Tra le protezioni puntuali a mio avviso sono molto utili i rivelatori di movimento con tecnologia accelerometrica, che sono disponibili con una spesa molto contenuta e possono essere fissati a qualsiasi oggetto, anche piccolo, per rilevarne gli spostamenti in modo intelligente. Grazie a sofisticati algoritmi di analisi del movimento spaziale degli stessi e alla programmazione dei corretti tempi di ritardo, si possono eseguire rilevazioni precise ed evitare falsi allarmi dovuti a vibrazioni irrilevanti. La tecnologia senza fili e le dimensioni estremamente ridotte di questi dispositivi permettono di non compromettere in alcun modo l’estetica degli ambienti e delle opere d’arte e, soprattutto nel caso delle esposizioni temporanee, il loro utilizzo permette di contenere i costi della messa in sicurezza. Ciascun rivelatore si adatta infatti perfettamente a tutte le opere da proteggere - siano esse sculture, dipinti, ceramiche, vetri o reperti archeologici - e può quindi essere utilizzato all’occorrenza in varie occasioni attraverso una semplice e veloce installazione. La possibilità di regolare la sensibilità permette infatti di realizzare una protezione su misura per ogni singolo oggetto da proteggere».

Come si collocano le aziende italiane in questo panorama tecnologico?

«In Italia abbiamo molte aziende di altissimo livello. Lo dico sulla base dell’esperienza di tredici edizioni del Premio H d’oro, il concorso organizzato dalla Fondazione Enzo Hruby per premiare le migliori realizzazioni di sicurezza e con esse la professionalità degli operatori più qualificati. Di anno in anno abbiamo visto crescere il livello dei progetti presentati e spesso vediamo che i nostri professionisti fanno scuola anche all’estero e si impongono all’attenzione della committenza straniera più qualificata, che li sceglie per l’eccellenza del loro lavoro». 

Un patrimonio ineguagliabile, ma da proteggere

In Italia ci sono 4.588 tra musei e istituti similari, 12.936 biblioteche, 54 siti Unesco: conservazione e tutela sono sentite priorità

Per la raccolta dati, Astra Ricerche ha realizzato 1.051 interviste online su un ampio campione costituito da individui di età compresa tra i 15 e i 65 anni.

Il patrimonio artistico italiano costituisce un tesoro capillarmente diffuso sul territorio (più di 4.500 musei e istituti similari tra cui 54 siti Unesco) che per oltre il 65% degli intervistati è motivo d’orgoglio. L’86% del campione lo considera un patrimonio difficilmente eguagliabile al mondo. Tuttavia, meno di un terzo (il 31%) è convinto che sia sufficientemente valorizzato.

Sul versante della percezione della sicurezza i risultati sono inequivocabili: “Da Nord a Sud l’83% degli intervistati auspica un aumento del livello di sicurezza per le opere d’arte con un incremento nell’uso della tecnologia (80,9%) e con un miglioramento/ammodernamento del parco tecnologico già a disposizione (l’81,3%)”.

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