I dischi a stato solido per lo storage delle immagini

 

Il crescente impiego di telecamere di videosorveglianza e l'utilizzo di apparecchiature caratterizzate da un'elevata risoluzione sono alla base di un problema fondamentale, spesso trascurato: lo storage delle immagini.

 

Indipendentemente dalla finalità per cui vengono effettuate le riprese e dalla possibilità di effettuare analisi in tempo reale, affinché i filmati possano essere utilizzati come prova, devono essere salvati.

Un'attività che, proprio per l'enorme quantità di bit che le compongono, diventa sempre più gravosa, sia dal punto di vista economico che organizzativo.

Per questa ragione, si stanno affermando soluzioni di storage in modalità Cloud.

Questo significa, all'atto pratico, che le riprese vengono trasmesse a un operatore specializzato esterno che, sulle proprie macchine, provvede a registrare e a conservare, per il tempo necessario, i bit ricevuti.

Una simile scelta, fatte salve le prescrizioni relative alla Privacy, permette di ridurre gli investimenti iniziali, così come la complessità gestionale, oltre a consentire la massima flessibilità operativa.

Lo spazio di memorizzazione può, infatti, aumentare o diminuire in funzione delle effettive necessità.

Una simile opportunità, però, comporta la scelta di affidare una serie di dati sensibili a un soggetto terzo, con il quale è necessario definire molto attentamente tutti gli aspetti contrattuali.

Ma, soprattutto, può essere utilizzata solo a fronte della disponibilità di un'adeguata rete di telecomunicazione, ovvero di una banda sufficientemente larga e garantita.

In caso contrario, le telecamere si rivelerebbe completamente inutili, in quanto le immagini riprese non potrebbero essere salvate.

 

Salvare in locale

Quando i dati non possono essere salvati in remoto, è necessario effettuare una simile operazione in locale.

Abbandonati i supporti su nastro, ingombranti e non adatti a ripetuti processi di cancellazione e scrittura, si è affermata la possibilità di salvare le immagini sui dischi fissi dei PC e dei server.

Per decenni, la tecnologia utilizzata è stata quella dei dischi HDD: si tratta di supporti magnetici rotanti, sui quali è possibile leggere e scrivere attraverso una serie di testine mobili, che si posizionano nel punto in cui deve avvenire l'operazione.

Una simile soluzione, grazie al continuo aumento di densità, accompagnato da prezzi progressivamente decrescenti, rappresenta ancora oggi il sistema di memorizzazione più economico.

Ma, al tempo stesso, non risulta del tutto affidabile. Essendo composto da numerosi elementi mobili, infatti, è soggetto a usura e, soprattutto, al rischio di guasti.

Benché si tratti di componenti informatici, i singoli elementi sono sostanzialmente meccanici e, quindi, esposti alla possibilità di guasti.

La probabilità di guasto aumenta al crescere del tempo di utilizzo e dei fattori ambientali, come le temperature elevate o la presenza di vibrazioni.

I problemi connessi alla sovratemperatura o alle vibrazioni sono stati risolti installando i server di storage all'interno di ambienti protetti e climatizzati.

Una scelta che, pur contribuendo a ridurre anche il rischio di accesso da parte di soggetti non autorizzati, comporta costi elevati in termini di condizionamento. Più difficile, invece, prevenire le conseguenze dell'usura, che possono essere limitate solo utilizzando soluzioni di fascia alta che, però, hanno anche costi superiori rispetto ai prodotti consumer.

 

I dischi a stato solido

Da qui, la ricerca di una tecnologia in grado di garantire un'adeguata affidabilità, pur senza la necessità di duplicare i sistemi di memorizzazione.

La soluzione offerta oggi dal mercato è rappresentata dai dischi a stato solido, più noti con l'acronimo SSD.

Questi non utilizzano i piatti e i componenti meccanici dei comuni hard disk, ma chip di memoria NAND Flash o DRAM.

Si tratta, quindi, di chip simili alle schede di memoria delle chiavette USB, così come dei supporti SD e CompactFlash, solitamente impiegati nelle telecamere digitali di uso comune.

Una tecnologia priva di elementi meccanici in movimento previene, come intuibile, tutte le problematiche di usura che sono alla base della maggior parte dei guasti.

Allo tempo stesso, abbatte i tempi morti necessari per posizionare fisicamente la testina in corrispondenza dell'area da leggere e da scrivere.

Questo significa che la memoria offre tempi di risposta significativamente migliori, anche se questa qualità non ha una particolare valenza in un impianto di videosorveglianza comune dove è, invece, prevalente l'affidabilità dei componenti e dell'intero sistema.

Negli impianti più strutturati, così come in quelli che registrano immagini ad alta risoluzione, anche la velocità rappresenta un fattore importante, soprattutto quando è necessario accedere ai filmati per eseguire analisi specifiche.

É però impossibile definire, in modo obiettivo, quale sia l'effettivo guadagno in termini di tempi di risposta.

Alcuni produttori, infatti, hanno presentato studi dai quali risulta una velocità sino a 200 volte maggiore rispetto a un comune disco da PC.

Si tratta, però, di comparazioni non del tutto attendibili, in quanto le reali prestazioni sono influenzate da numerosi fattori, come il sistema operativo e i driver installati.

Sui tempi di risposta influiscono, inoltre, le applicazioni in uso e la configurazione del processore.

Un ulteriore fattore determinante nei tempi di accesso ai dati salvati, ma non gestibile dall'utente, è la porzione di disco su cui sono stati salvati i bit. I dischi HDD, infatti, hanno una forma circolare e, quindi, la testina impiega più tempo per raggiungere i dati memorizzati nell'area centrale rispetto a quelli che si trovano in periferia.

L'accesso ai sistemi SSD, invece, avviene sempre nello stesso tempo sull'intera area.

Inoltre, come ben sa qualunque utilizzatore di PC, i comuni dischi registrano i dati sulle aree libere e non necessariamente contigue.

Una modalità che provoca la cosiddetta frammentazione, colpevole di un ulteriore rallentamento, oltre che dello spreco di parte delle risorse di storage.

 

Questione di durata

Le normative sulla Privacy, come è noto, impongono la cancellazione per sovrascrittura delle immagini dopo un determinato lasso di tempo.

Una simile modalità ha il vantaggio di ridurre lo spazio di storage necessario ma, al tempo stesso, influisce sulla durata dei sistemi di memorizzazione.

Così come avviene per i dischi HDD, anche le memorie a stato solido hanno dei limiti di durata.

A differenza dei comuni hard disk, questi sistemi godono il vantaggio di essere gestiti da specifiche tecnologie di livellamento dell'usura, che consentono di utilizzare in modo uniforme tutte le celle, inducendo un'usura uniforme.

In questo modo, la durata dei componenti di memorizzazione è solitamente maggiore rispetto a quella dei sistemi informatici su cui sono installati.

Non dobbiamo, però, trascurare il fatto che, negli impianti di videosorveglianza, i cicli di lettura/scrittura sono continui e, quindi, sottopongono a un costante lavoro le celle di memoria.

Da qui, la necessità di valutare, in fase di scelta, l'effettiva durata dei dischi.

Un fattore che è espresso in terabyte scritti (TBW) e indica quanti dati potranno essere memorizzati, nel corso del tempo, su quello specifico supporto.

Così, partendo dalle dimensioni dei filmati ripresi ogni giorno, è possibile calcolare, con buona approssimazione, la durata stimata del disco stesso.

Il tutto sfruttando l'ulteriore vantaggio connesso al fatto che le prestazioni dei dischi SSD si mantengono inalterate durante l'intero ciclo di vita del dispositivo.

 

SATA III e PCIe, le due tecnologie leader di mercato

Come sempre, quando ci si addentra nell'ambito informatico, non è semplice orientarsi tra le sigle.

Così, anche i dischi a stato solido vengono proposti in numerose versioni.

Senza scendere troppo nei dettagli, le due tecnologie leader di mercato sono oggi SATA III e PCIe.

Con questi acronimi vengono indicati i due più apprezzati connettori utilizzati per collegare i dischi alla scheda madre.

Le differenze sono evidenti già esteriormente: i SATA III, che assomigliano ai dischi di piccole dimensioni, hanno un diametro di 2,5″;

al contrario, i PCIe assomigliano, fisicamente, alle comuni RAM e hanno la forma di un parallelepipedo allungato.

Ma la differenza sostanziale è nelle prestazioni: in lettura, i SATA III raggiungono i 550 MB/s, mentre i PCIe in formato M.2 possono arrivare a 3 GB/s.

In fase di scelta, è però necessario verificare la compatibilità con la scheda madre.

I SATA III, infatti, sono generalmente compatibili con tutti i computer, mentre il supporto dello standard PCIe non è sempre garantito e richiede anche uno slot libero, di dimensione almeno x4.

 

Toshiba: “A farla da padrone sono gli hard disk portatili da 2,5 pollici”

Secondo dati recenti (ricerche di mercato GFK), le vendite di prodotti storage in Europa, sebbene altalenanti, evidenziano un trend in netta decrescita.

Tutte le country sono, infatti, in contrazione, con l’unica eccezione della Spagna, dove si registra un timido +3%.

In Italia il comparto cala del 14% nelle vendite anno su anno, con una riduzione di circa il 10% del fatturato.

“In questo contesto poco entusiasmante, caratterizzato da uno spostamento delle tecnologie dallo stato meccanico a quello solido (che crescono da alcuni anni a doppia cifra), a farla da padrone sono gli hard disk portatili da 2,5 pollici, con vendite che toccano l’80% del settore storage - spiega Emanuele Bianculli, Account Manager Storage Peripheral Division di Toshiba - Si nota, inoltre, uno spostamento verso le soluzioni rivolte ai device mobili, tanto che in soli quattro anni il market share dei prodotti di memoria desktop sono passati da una quota di mercato complessiva del 26% a un misero 7%, mentre il multimedia drive è piano piano andato a morire dopo l’iniziale successo. I NAS rimangono sempre prodotti di nicchia”.

Tornando ai sistemi da 2,5, la soluzione maggiormente apprezzata dal mondo consumer è quella da 1 Tera di capacità (acquistata dal 55% in Europa), mentre, per capienze superiori, il mercato - soprattutto in Italia e Francia - stenta a decollare a causa dell’introduzione della copy tax, che prevede una tassazione da parte della Siae per questi dispositivi di memoria.

“La conseguenza è che si assiste, nel nostro Paese, a un boom di vendite dei sistemi di archiviazione da 500 GB. Molto più ristretto è invece il mercato HDD 3,5 desktop: in Italia se ne vendono circa 3mila pezzi al mese”.

 

Massimiliano Cassinelli

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